Novità - Eventi di rilievo |
di Giuliano Ruzzier
fonte: Città Nuova
Il 10 febbraio ci riporta alla mente quanti hanno perso la vita nelle Foibe dove, alla fine della Seconda Guerra mondiale, furono uccisi e gettati, spesso dopo umiliazioni e tormenti, moltissimi italiani. Una testimonianza dell'epoca.
Non sono passati poi molti anni da quando a scuola sedevo tra i banchi con i miei compagni. Ora mi ritrovo, come insegnante, al di qua della cattedra ad affrontare temi delicati, a volte difficili, con alunni ed alunne di appartenenza culturale e religiosa diversa. Gli eventi ed il loro impatto mediatico ci portano a dover leggere con rispetto critico ciò che succede attorno e che ci coinvolge nella prossimità delle relazioni quotidiane. Così, anche per rileggere alcune pagine della Storia diventa particolarmente importante scegliere la prospettiva con cui affrontare il discorso.
In una realtà tesa tra cultura, politica, economia e religioni, meno di un mese fa abbiamo ricordato la Shoah e le persone che in più di quindicimila campi di concentramento disseminati in Europa, hanno perso la dignità e quindi la vita. Il 10 febbraio riapriamo un’altra pagina difficile della nostra storia ricordando quanti hanno perso la vita nelle Foibe. Esse sono state il luogo in cui, alla fine della Seconda Guerra mondiale, furono uccisi e gettati, spesso dopo umiliazioni e tormenti, moltissimi italiani. Gli eccidi si svilupparono prevalentemente in due momenti: il primo, all’indomani dell’armistizio dell’8 settembre 1943, quando si scatenarono vendette e rancori mai sopiti dopo 20 anni di italianizzazione forzata da parte del regime fascista; il secondo, nella primavera del ’45, quando le truppe titine occuparono la Venezia Giulia, la Dalmazia, Trieste e parte del Friuli.
Nato il 7 settembre 1912 a Pirano (attualmente in Slovenia) Francesco Bonifacio è cresciuto in una famiglia semplice e povera. Seguendo la chiamata al sacerdozio entra nel 1924 nel Seminario di Capodistria e nel 1936 viene ordinato sacerdote. Il suo primo impegno da presbitero lo svolge a Pirano, sua città natale, ma già nel 1939 inizia a prendersi cura di una comunità di circa milletrecento anime che abitano in piccole frazioni o casolari sparsi sulle colline tra Buie e Grisignana. Scrive nel suo Diario in quegli anni: «Per conquistare le anime giovanili non occorre chissà che cosa, basta la volontà e il sacrificio disinteressato». Ed aggiunge: «Bisogna avvicinare tutti, per guadagnare a Cristo più anime che sia possibile». Negli anni difficili dopo l’8 settembre del ‘43, la popolazione dell’Istria, stretta tra gli occupatori tedeschi e il fronte titino di liberazione, vive momenti di grossa difficoltà e don Bonifacio si prodiga per soccorrere tutti, per impedire esecuzioni sommarie, per difendere persone e cose. In una sua memoria del 28 dicembre 1944 leggiamo: «Sono ormai mediatore tra Dio e gli uomini e devo eccellere nella vita, essere il pastore che conosce bene le strade della perfezione.